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Works Fall: Su Ryts Monet e le Rovine

Andrea Steves

December 2020

Ryts Monet, WORKS FALL TRUE!, installazione site specific per Art tal Ort, Castello di Fagagna, a cura di Elena Tammaro e CREAA, foto credit Alice Durigatto, Fagagna, Italia, 2020.

Il capitalismo è quel che resta quando ogni ideale è collassato allo stato di elaborazione simbolica o rituale: il risultato è un consumatore-spettatore che arranca tra ruderi e rovine.

-Mark Fisher, Realismo capitalista: non c’è alternativa? (2009; Traduzione: Valerio Mattioli 2018)

La rovina indica allo stesso tempo la speranza e la supponenza di un futuro che non si è mai concretizzato – nonostante la promessa iniziale di abbondanza e agio del capitalismo, e la visione di lavoro collettivo e uguaglianza del socialismo.

-Caitlin DeSilvey e Tim Edensor, Reckoning with Ruins (2012)

I. Works Fall True!

8 agosto 2020: l’artista italiano Ryts Monet installa un’insegna al neon in cima a un’alta impalcatura sulle rovine di un bastione circolare di un castello del XV secolo situato nel nord-est Italia, a cinquanta chilometri dai resti della Cortina di Ferro. L’artista costruisce un simbolo, a partire dalla trasposizione di una traduzione, la scoperta di un anagramma, all’interno della frase conclusiva del Manifesto del Partito Comunista.

WORKERS OF ALL

THE WORLD, UNITE!

Le parole di Marx ed Engels, modificate attraverso la traduzione e l’interpretazione1, sono forgiate in lunghi tubi luminosi riempiti di gas rosso, pressurizzati e ionizzati dall’alta tensione. L’insegna è progettata per apparire deteriorata: solo alcune lettere sono selettivamente illuminate, mostrando lo slogan originale durante il giorno e un’alterazione di esso durante la sera.

WORK S    F ALL

T        R    U    E!

La frase WORKS FALL TRUE! emerge dallo slogan originale, con caratteri goffamente distanziati come nei cartelli abbandonati davanti alle attività commerciali a bordo strada, lettere non allineate, una frase a lungo separata dalla sua promessa, molto tempo dopo che le porte si sono chiuse. La riduzione poetica evoca la caduta, il collasso; sia la caduta del lavoro2 che la caduta deɜ workers3, verificabile e autentica. Lo slogan deteriorato indica la perdita della promessa non mantenuta del comunismo, lo sgretolamento di un’ideologia politica passata. Il messaggio passa dall’essere un grido di battaglia a un avvertimento, una premonizione di collasso: the workers internazionali, una volta unitɜ dalla solidarietà e dall’organizzazione dei propri sforzi, sono ora legatɜ soltanto da una precarietà condivisa.

La nuova rovina di Ryts Monet appare in un momento in cui the workers stanno subendo le peggiori minacce degli ultimi secoli, adesso che una pandemia, prodotto del capitalismo, sta creando devastanti conseguenze sociali ed economiche paragonabili a quelle di un disastro naturale o di una guerra mondiale. Negli Stati Uniti, dove attualmente risiedo, le falle del sistema sono più evidenti che mai: 30 milioni di persone sono senza lavoro a causa della recessione economica e più di 5 milioni hanno contratto il virus COVID-19. In molti casi continuano ad aumentare, si continuano a chiudere imprese e, nonostante lo spostamento verso una manodopera ancora più digitale e immateriale, alcuni workers sono ancora intrappolatɜ nel turbinìo della produzione, esposti a una nuova ondata di pandemia. Come persone, the workers sono impotenti in questo sistema; il COVID-19 ci ha divisi ulteriormente.

Ogni opere cade, tutti i lavori crollano. Nel testo alterato di Ryts Monet, the workers cadono sul posto di lavoro: le fabbriche e le loro produzioni. Quando cade il lavoro, quando crollano le opere, cosa succede a chi lavora? C’è qualcunə all’interno della fabbrica? Quanti giorni ci vorranno per setacciare le macerie e trovare i corpi? Quante segnalazioni e contestazioni rimaste inascoltate ha ricevuto la fabbrica? Quante volte la direzione ha ignorato gli avvertimenti, le crepe, le vibrazioni, o una sporgenza pericolosa? Magari i sistemi antincendio erano troppo deteriorati per funzionare, le loro valvole arrugginite. Oppure le scale dei vigili del fuoco non hanno raggiunto i piani superiori e tuttɜ sono statɜ presɜ dal panico mentre il fuoco si propagava. Di sicuro chi lavora era oberatə, sottopagatə, troppo esaustə per fuggire. Presumibilmente, l’edificio era stato ampliato per aumentarne capacità: verso l’alto e all’esterno, saturato con macchine e nastri trasportatori, ingrandito senza autorizzazioni. Chi aveva investito in questa fabbrica? Si erano indebitatɜ eccessivamente? Chi è titolare del mutuo? Chi era l’incaricatə? Di chi è la colpa? Quanti soldi sono stati persi per l’interruzione della produzione? Quante richieste di risarcimento sono state presentate, elaborate, concesse o negate? Chi è stato pagatə per l’elaborazione di queste richieste? Quando era previsto che the workers tornassero al lavoro? Il giorno dopo?

Man mano che il nostro presente si avvicina al «futuro del lavoro», i segni premonitori del collasso diventano ancora più difficili da percepire. La produzione è sempre più dematerializzata e digitalizzata, con una domanda crescente di bit e byte da bruciare nel carbone in lontani centri dati. I sindacati vengono sostituiti con reputation systems e la gamification, la divisione del lavoro avviene attraverso piattaforme globali di microtasking e gig workers lavorano per società di car sharing e spingono i carrelli della spesa. Ai corpi di questi workers vengono delegati i rischi che altri non si assumeranno.

Ryts Monet produce la sua rovina nell’agosto 2020, mentre città e istituzioni stanno subendo processi di distruzione catastrofici, a causa di incidenti e disastri, violenza poliziesca, corruzione, fascismo, pandemia, collasso economico; mentre i monumenti vengono demoliti; in mezzo a una devastazione crescente di futuri irrealizzabili, sullo sfondo di un avvenire già in rovina. La memoria sbiadita dello slogan trasmette la nostra attuale crisi lavorativa, in cui il lavoro è precario e la manodopera è sovraccarica, indebolita e impotente, in cui le istituzioni barcollano sull’orlo del collasso.

Collocando il messaggio «caduto» di Marx ed Engels in cima a un vecchio rudere—dal latino «ruere», precipitare—il monumento di Ryts Monet accatasta una nuova rovina concettuale sulla vecchia rovina fisica. L’insegna al neon si trova su un’impalcatura—letteralmente e figurativamente—appartenente al passato, salvando dalle macerie sia le idee crollate, sia uno spirito rivoluzionario che ci comunica: Noi, come persone che lavorano, dobbiamo organizzarci, o saranno guai. Siamo numerosɜ e ci saremmo dovutɜ unire già da tempo ed è da tempo che occorre unirsi di fronte alla crisi causata dal capitalismo.

Ryts Monet, WORKS FALL TRUE!, installazione site specific per Art tal Ort, Castello di Fagagna, a cura di Elena Tammaro e CREAA, foto credit Alice Durigatto, Fagagna, Italia, 2020.

II. Negligenza o attacco missilistico?

Il 4 agosto 2020, 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio esplodono nel porto di Beirut, provocando la morte di oltre 150 persone, ferendone altre migliaia, lasciandone centinaia di migliaia senza casa, devastate. Testimonianze da terra, su Twitter, descrivono il caldo, il fragore, il completo appiattimento di tutto. In un’intervista televisiva, il Presidente libanese Michel Aoun dichiara ufficialmente che la causa dell’esplosione è stata «negligenza o attacco missilistico».4

Il nitrato di ammonio, NH4NO3, usato sia come fertilizzante che come esplosivo, è un composto emblematico del tardo capitalismo. Per ottenere la forma fertilizzante è necessaria un’ampia scorta di gas naturale, solitamente estratto mediante operazioni di trivellazione, il cui utilizzo è obbligatorio nell’agricoltura su scala industriale, in particolare per la produzione di ceppi di mais nuovi, ibridi e ad alto rendimento. Come esplosivo, l’NH4NO3 compare nell’ANFO (nitrato di ammonio/olio combustibile), un esplosivo utilizzato per l’estrazione mineraria, l’edilizia e altre applicazioni industriali. Poiché il nitrato di ammonio accumula pressione, lo stoccaggio è un’operazione delicata e necessita di luoghi a prova d’incendio con tubi e scarichi progettati con cura.

La negligenza diventa un missile. A Beirut, come nel capitalismo più in generale, gli investitori privati ​​cercano di massimizzare il profitto, anche a scapito della vita. La storia è incomprensibile. Al termine di una guerra civile durata 15 anni, nel 1990 inizia la ricostruzione, quando «le parti in guerra si rendono finalmente conto che si possono fare più soldi attraverso la pace».5 Una holding privata acquista gran parte del centro di Beirut per costruire una «nuova città scintillante dalle sue rovine».6 Il governo si dimette, viene sostituito a breve termine con un governo senza potere, solo per poi essere forzato alle dimissioni e sostituito con quello originario. Un ciclo di crolli e tentativi di ricostruzione.

Sette anni fa: nel porto di Beirut appare una grande quantità di esplosivi. Quattro workers sono intrappolati su una nave con detti esplosivi. Il loro datore di lavoro non li vuole pagare. L’autorità portuale vuole abbandonare la nave. C’è una trattativa discutibile tra un governo corrotto e un investitore privato. Il composto chimico viene spostato da una nave a un magazzino. Successivamente, viene inviato del personale per riparare la porta del magazzino, per tappare un buco. Ignari di una scorta di esplosivi all’interno, i lavori di riparazione portano questi esplosivi ad incendiarsi. Il fuoco si propaga. Vengono inviati vigili del fuoco. Gli esplosivi diventano un catalizzatore. C’è un lampo di luce, un’onda sonora, un’onda d’urto. I detriti sono stati trovati fino a tre chilometri dal luogo dell’esplosione. La nave che prima in precedenza conteneva gli esplosivi, sprofonda nel mare. Si contano i corpi. La gente affolla le strade. Il nitrato di ammonio si miscela con i gas lacrimogeni. Il governo si dimette. (Un amico scrive: può davvero farlo un governo?) La città è in rovina.

La città è in rovina, dicono le notizie su Internet. Cosa deve accadere perché una città sia considerata una rovina? O basta che assomigli ad una rovina? Sembra una diagnosi precipitosa: una città classificata subito come un rudere, mentre i suoi abitanti sono ancora lì, in cerca dei corpi. Ferite fresche: le persone hanno appena iniziato a raccogliere i pezzi, pulire i vetri, misurare le finestre per sostituirle, valutare se un edificio non è più abitabile e deve quindi essere completamente distrutto. Le indagini forensi tendono a individuare immediatamente il composto chimico specifico, il momento in cui è esploso e perché – senza far luce sul ciclico abbandono che dopo decenni ci ha portato fin lì. Come spieghiamo il lungo intervallo di tempo che ha causato questo momento di distruzione? Beirut era già infiltrata, indebolita e sovraccaricata, attendeva soltanto che si accendesse la scintilla. Quante cose sono sull’orlo del collasso e aspettano solo di cadere a pezzi? Quale crisi ci vorrà per ripensare i sistemi e le strutture in cui viviamo, per renderci più premurosi?

III. Rovina

Cos’è mai una rovina? Quando pensiamo ad una rovina, pensiamo a qualcosa di monumentale, invaso dalla vegetazione, fatiscente, desolato; un cumulo di macerie; decadimento, collasso, disintegrazione.

Una rovina comprende sia la materialità che il processo. Le rovine possono essere rapide o lente: accadono rapidamente o violentemente, come prodotto di distruzioni in tempi di guerra, armi, cause di forza maggiore, eventi meteorologici estremi, esplosioni, implosioni, collasso; oppure si materializzano lentamente, impercettibilmente, per mancanza di manutenzione, crescente precarietà, abbandono, negligenza nei controlli, corruzione, leggi e scappatoie, normative elastiche, vento e acqua, il graduale assestamento di particelle di roccia e sabbia, l’attrazione costante della gravità, la crescita della vegetazione, il passare del tempo. Le rovine possono essere create, non solo avvenire.

Ann Stoler ci ricorda:

Una rovina su larga scala richiede pianificazione e risorse, che possono comportare la rimozione forzata di popolazioni e nuove aree inabitabili, riassegnando spazi alle persone e imponendo il modo in cui dovrebbero vivere. In quanto tali, queste rovine sono tipicamente progetti statali, spesso strategici, fanno parte della costruzione delle nazioni ed hanno sfondo politico.7

Le rovine possono anche essere create in modi banali, per mancanza di manutenzione, di attenzione, di responsabilità, di organizzazione, di personale con l’energia o con il tempo per riparazioni e cure.

Le rovine sono, come scrive Robert Smithson, «le tracce mnemoniche di un insieme di futuri abbandonati».8 Di default, pensiamo alle rovine come resti del passato, forse perché spesso rappresentano una perdita di investimenti passati, finanziari, emotivi o di tempo. Tuttavia, nelle rovine vediamo anche il futuro; i possibili scenari che determinano la (de)costruzione, inclusi violenza, sconvolgimento e devastazione. Attraverso le rovine, immaginiamo la fine del mondo o la fine della civiltà.

La rovina può contemporaneamente ispirare visioni utopiche e resistenza collettiva, servire da doloroso promemoria del lutto e incarnare il processo del ricordo (il che ci rammenta che le persone possono anche diventare rovine). Le rovine diventano i detriti materiali di speranze e sogni che non sono andati come previsto; sono metafore fisiche di fallimenti ideologici passati; forniscono le basi storiche—concettuali e letterali—su cui verranno (ri)costruite le future strutture. Tuttavia le rovine si ergono nel momento presente in cui tutte questa onde spazio-temporali di tempo collassano.

Ryts Monet, WORKERS, FROM ALL COUNTRIES UNITE! FORWARD! COMRADES LET S BOLDLY UI U GREA CAUS !… video, colore, senza audio, 31;42 sec, 2019, courtesy l’artista e Galleria Michela Rizzo, 2019

IV. Come sappiamo se stiamo vivendo in una rovina?

«Sembra che sia arrivato un terremoto, non un uragano».
«Sembra che sia esplosa una bomba, non un incendio».

Come un terremoto, come un uragano, come una zona di guerra, come un tornado, come un’esplosione, come uno tsunami, come un mostruoso «attacco».
Come un campo di battaglia, come un crepacuore.
Sembrano una manciata di lotti edificabili ben spianati che il capitale finanziario può delimitare con del compensato, montare barriere attorno ai bordi e su cui appicciare rendering di condomini futuristici. Ha l’apparenza di un potenziale investimento altamente redditizio.

«Sembra che nella tua stanza sia esplosa una bomba», questo diceva mia madre quando tornava a casa dopo aver lavorato, e nel frattempo avevo passato il tempo da sola per ore nella mia cameretta.

V. Workers, from all countries unite!

Per un certo tempo, però, le nuove rovine appaiono spoglie e desolate, senza vegetazione e senza creature viventi; incenerite e lacerate, odorano di fuoco e morte. Non sarà così per molto. Molto presto vedremo alberi spuntare dalle finestre vuote, piante di rosa e finocchio sbocciare tra i muri spezzati, rovi aggrovigliarsi ai margini dell’edificio. Molto presto, la rovina sarà sommersa, inghiottita e si popolerà di animali. Anche le rovine nelle strade della città, se lasciate stare, avranno, presto o tardi, la stessa sorte.

A Note on New Ruins, Rose Macaulay, Pleasure of Ruins (1953)

Nel video di Ryts Monet del 2019 «WORKERS, FROM ALL COUNTRIES UNITE! FORWARD! COMRADES LET S BOLDLY UI U GREA CAUS !…» l’artista visita il monumento Buzludzha, situato nelle montagne dei Balcani, costruito in onore del Partito Comunista Bulgaro nel 1981 e abbandonato dopo la caduta dell’Unione Sovietica nel 1989 e la conseguente dissoluzione del Patto di Varsavia. Il monumento in stile brutalista, a forma di disco volante, è ora fatiscente e ricoperto di vegetazione; ciuffi verdi d’erba emergono da ogni crepa e fessura nel cemento. Nel video, l’artista spazza metodicamente strati di polvere di gesso dalle scale della struttura futurista e utopica, il cui ingresso è fiancheggiato su entrambi i lati da una iscrizione in cirillico con lettere mancanti, da cui l’opera prende il titolo.

Il gesto simbolico di cura di Ryts Monet evoca dei flashback del discorso che il leader comunista Todor Zhivkov pronunciò durante la cerimonia di inaugurazione del monumento, nell’agosto 1981: il monumento «non dovrebbe mai cadere in rovina» e i futuri visitatori del monumento dovrebbero «sentire quello spirito che ci nobilita … mentre entriamo in empatia con le idee e i sogni dei nostri antenati, provando la stessa emozione oggi!»9 La speranza del messaggio di Zhivkov è stata mal riposta: la struttura fisica e gli ideali utopici che rappresentava sarebbero caduti entrambi, nel tempo.

Ciò che è tragico nel video non è solo il divario visivo tra il potenziale dell’architettura del monumento e il suo attuale stato di degrado, una rappresentazione materiale del deterioramento degli ideali politici; piuttosto, è la faticosa e solitaria impresa di Ryts Monet, un protagonista, solo, nel compito sisifiano della manutenzione, in contrasto con la cornice rappresentata dall’appello di Marx ed Engels all’unità e alla solidarietà tra workers. L’opera afferma ossessivamente che è impossibile per gli individui altruisti assumersi la responsabilità etica individuale di trasformare la società «senza la necessità di alcun tipo di soluzione politica o riorganizzazione sistemica»10 e mette in guardia dai pericoli dell «individualismo metodologico della visione capitalista del mondo».11

VI. La caduta del Partito Proletario, Detroit, Michigan, 1968

Stiamo avvizzendo, per così dire, non ci sono molti più di una dozzina di noi rimasti. Non puoi chiamarlo un partito politico. La maggior parte dei nostri fondi va al pagamento dell’affitto per la sede centrale e il magazzino Kerr. Non sono affatto chiaro su cosa si potrebbe fare.

Corrispondenza di John Davis ad Al Wysocki, May Day, 196312

La Labadie Collection dell’Università del Michigan conserva gli archivi del Partito Proletario, un piccolo partito comunista marxista della classe operaia di Detroit, nel Michigan. Il partito emerse intorno al 1920 dopo la scissione dal Partito socialista del Michigan, motivata dal desiderio di spostarsi dallo studio teorico alla concreta partecipazione alla politica elettorale. Il partito era noto per essere proprietario della Charles H. Kerr & Co., il più antico editore di libri marxisti in America, che pubblicò la prima traduzione inglese del Manifesto del Partito Comunista negli Stati Uniti. Quando il partito si disgregò nel 1968, i suoi documenti ufficiali furono ridotti a brandelli: rovine.

Sei metri di documenti—corrispondenza generale, corrispondenza ufficiale ordinaria e altro materiale—sono conservati permanentemente in un deposito fuori sede e possono essere consultati nella sala lettura. Alcuni sono stati ricostruiti, ma per la maggior parte ne rimangono solo frammenti. Le copie carbone contrassegnate come “angolo superiore sinistro” o “in basso a sinistra” o varie porzioni della pagina originale richiedono al ricercatore o utente di riassemblare le singole lettere per renderle leggibili. Molti dei reperti sono frammentari e non datati. Nonostante l’incompletezza, comunque, i documenti raccontano la storia delle trascinanti idee, delle persone e dei meccanismi rivoluzionari che hanno costruito un movimento, fino al suo graduale decadimento: la banale corrispondenza diventa ancora più triviale e ciò che resta del partito grava sulla base dei propri compagni, che sono sempre meno. L’ultima cartella di Mundane Official Correspondence contiene una relazione finale di uno dei membri, ormai stanco scrive: «gli unici ad essere presenti siamo io e Bennie, quindi continuiamo a rimandare e contattiamo lɜ altrɜ compagnɜ ma hanno sempre delle scuse, quindi…sembra che la sede di Detroit sia giunta al capolinea».

VII. Il crollo della International Socialist Organization, Stati Uniti, 2019

Un altro partito socialista cade, questa volta, in un processo di combustione improvvisa. La International Socialist Organization (ISO) è esistita dal 1977 al 2019 come la più grande e più forte organizzazione socialista rivoluzionaria negli Stati Uniti, un’organizzazione marxista che propugnava il socialismo dal basso. L’ISO si concentrava su uguaglianza, liberazione, potere deɜ workers, internazionalismo e socialismo come alternativa al capitalismo.

Ma nel 2019, l’organizzazione cadde improvvisamente a pezzi, crollò, apparentemente in un istante, dopo che la mala gestione da parte della dirigenza e un caso di aggressione sessuale risalente al 2013 divennero di dominio pubblico. L’ISO votò per dissolversi tra la disillusione e il disgusto. Ma molto prima del crollo, ci furono “scosse che precedettero il terremoto”13: L’ISO aveva infatti problemi di responsabilità, trasparenza, apertura e democrazia. C’era già stata una cronologia di dibattiti politici interni incentrati sulla lotta di classe, mentre i tentativi di sollevare questioni di razza e genere non vennero generalmente mai affrontati dall’organizzazione. Ad un certo punto, l’organizzazione fece uno sforzo volto al «riconoscimento del femminismo» riscrisse lo statuto fondamentale, ma in pratica, il femminismo non divenne mai una pratica dell’organizzazione; coloro che cercarono di promuovere il femminismo vennero accoltɜ con ostilità e ostracizzatɜ. Alla fine, fu eletta una nuova dirigenza nell’organizzazione, ma uno dei nuovi candidati eletti venne accusato di stupro e durante le elezioni, la direzione e lɜ compagnɜ dell’organizzazione nascosero il caso sotto il tappeto.14

Si trattava di un partito politico che immaginava un mondo migliore, libero dall’oppressione e dallo sfruttamento. Questa era un’istituzione i cui sforzi principali erano volti ad unire la classe operaia contro le divisioni e le oppressioni imposte dal capitalismo in materia di orientamento sessuale, genere, razza, ecc. Come è possibile che una tale istituzione crolli a causa delle strutture di potere, di abusi, di sessismo e di negligenza?

Anche nei circoli degli attivisti, dove il progetto collettivo riguarda la giustizia e l’autoemancipazione, questa storia è così familiare che sembra una formula per il collasso. Dopo la caduta di un’organizzazione come l’ISO e la dispersione dellɜ suɜ compagnɜ, moltɜ dellɜ quali avevano dedicato decenni alla costruzione del progetto, come dovrebbero organizzarsi lɜ rivoluzionarɜ? Che cosa, se possibile, può essere salvato? Cosa succede alle persone radicalizzate che costituivano un partito politico dopo il crollo del partito? Dopo la caduta, queste persone sono ora divise: come potrebbero riorganizzarsi o ricostruirsi intorno alla politica rivoluzionaria in futuro?

VIII .____________

A volte una rovina sembra più un’assenza; un lotto vacante; un vuoto nella skyline; un pezzo di terreno contaminato dove non crescerà più nulla; dei resti di mattoni o rocce dove un tempo c’era un muro; una manciata incomprensibile di caratteri che servivano per scrivere le parole; una raccolta incompleta di documenti, strappati in pezzi, incollati insieme, ma ricostruiti in maniera incompleta.

Ryts Monet, WORKERS, FROM ALL COUNTRIES UNITE! FORWARD! COMRADES LET S BOLDLY UI U GREA CAUS !… video, colore, senza audio, 31;42 sec, 2019, courtesy l’artista e Galleria Michela Rizzo, 2019

IX. Un elenco incompleto di cose in tutto il mondo che potrebbero esplodere o collassare da un giorno all’altro.

1.400 facciate di edifici a New York City, 39 grattacieli a San Francisco che necessitano di adeguamento sismico, 14.207 edifici a Mumbai, almeno 37 fabbriche di abbigliamento in tutto il mondo, l’incendio che avanza in una discarica sotterranea per lo stoccaggio di scorie nucleari, l’ultima piattaforma glaciale completamente intatta in Canada, decine di migliaia di lattine di pomodori che hanno sviluppato botulino conservate nelle cantine dei survivalisti in vista dell’apocalisse, piattaforme petrolifere in mezzo all’oceano che cedono alla pressione di perforazioni, difetti, tubi e valvole corrosi, attrezzature malfunzionanti, pinze e cavi danneggiati e misure di sicurezza inadeguate, l’euro, il dollaro, la lira, le criptovalute, il federalismo fiscale, la bolla immobiliare statunitense, il mercato del lavoro, la gig economy, la rete elettrica della California, 240 pozzi minerari sotterranei in tutto il mondo, la “democrazia” negli Stati Uniti, i polmoni di 30.124 pazienti COVID-19 critici in tutto il mondo, 6.000 fornelli a gas negli Stati Uniti , Brexit, Frexit, Grexit, Uscitalia, l’intero castello di carte dell’UE, la Richard Montgomery nel Regno Unito, un relitto sul fondo dell’oceano pieno di bombe in decomposizione da 75 anni…

X. Periodo di trascuratezza

In tempo di rovina, alcuni hanno proposto di riferirsi al periodo precedente il recupero delle rovine come a un «periodo di trascuratezza».15 Il crollo avviene in un istante, dopo anni di lenta marcescènza dovuta alla negligenza. Non c’è abbastanza tempo e ci penseremo domani. Gli interventi di manutenzione vengono posticipati, le superfici si sfaldano lentamente, i siti vengono abbandonati per decenni, lasciati cadere a pezzi. Certi piccoli problemi—dettagli, in realtà—vengono ignorati, ma col tempo si ingrandiscono, diventano gravi. Eppure, questi intervalli non hanno molto a che fare con un senso statico del tempo. Le esplosioni nucleari vengono misurate e documentate al millisecondo, ma durano per centinaia di migliaia di anni. Le premesse alla base del collasso possono ripercuotersi per decenni. A che punto mettiamo “l’inizio” di un crollo, e dove segniamo la fine?

Per comprendere il concetto di periodo di trascuratezza, dobbiamo pensare a come percepiamo il tempo nel corpo. La percezione del tempo mentre si guarda un crollo, ancora e ancora, come il video in loop delle Torri Gemelle a New York che crollano sugli schermi televisivi americani dopo l’11 settembre. Il momento di silenzio lungo e avvolgente tra il lampo di luce di un’esplosione, la sua onda d’urto e la sua onda sonora. Le ore infinite di una giornata lavorativa di otto ore. La sensazione di sospensione in mezzo al deterioramento in atto dell’economia durante il lockdown del Coronavirus. Il turbamento di quando si cerca una persona cara tra le macerie, quando i secondi sembrano giorni; la lenta decelerazione del tempo che accompagna una crescente anticipazione di quando ci si rivedrà.

Se noi, come workers, abbiamo un mondo da conquistare, dobbiamo acquisire la consapevolezza che la linea di demarcazione tra una rovina e una non rovina è sempre qualche intervallo temporale di abbandono in cui ci si divide e si tralascia la manutenzione. Lo vediamo nel passato, nel futuro e dove siamo ora, nel presente. Dobbiamo spazzare le scale. Cura, conservazione e salvaguardia—responsabilità, organizzazione, attenzione—devono essere incorporati nei sistemi e nelle strutture che abitiamo; costantemente e collettivizzati. Le parole di Marx ed Engels ci chiamano a farlo attraverso l’organizzazione; attraverso coesione interna e con i sindacati e oltre le frontiere e gli oceani; contro i padroni e il capitalismo; con richieste di modifica dei flussi di capitale per migliorare le condizioni di lavoro, i salari, le tutele e la sicurezza. Dobbiamo ascoltare l’avvertimento che se non ci uniamo, il lavoro cadrà.

 


Grazie a Rose Linke, Fabiola Hanna, Gelare Khoshgozaran, James McAnally e Sarah Burke per il feedback ed i consigli editoriali; ed Enrico Floriddia, Martina Palumbo, Ryts Monet per i consigli editoriali per la traduzione.
Pubblicato per la prima volta in inglese nel MARCH 01.

Footnotes

  1. Il testo originale tedesco, “Proletarier aller Länder, vereinigt euch!” è tecnicamente tradotto come “Proletari di tutti i paesi, unitevi!”, ma nella prima traduzione inglese di Samuel Moore nel 1888, “Proletari” fu cambiato in “lavoratori”; la frase a un certo punto passò a “LAVORATORI DI TUTTI I PAESI, UNITEVI! “; più tardi la citazione viene riconfigurata in “lavoratori di tutte le terre unitevi”, iscritta sulla lapide di granito di Marx nel cimitero di Highgate a nord di Londra. Lo slogan e le sue varianti diventano uno slogan per workers, un grido di raduno gridato alle proteste, abbreviato in “workers of the world, unite!”; ma “workers of all the world, unite!” è anche usato talvolta in inglese o come traduzione. Ryts Monet ha scelto quest’ultima versione per la presenza della frase evocativa “WORKS FALL TRUE”.
  2. Nota del traduttore: in inglese, la parola works si legge con un doppio significato, riferendosi sia a “lavori” che a “opere d’arte” (art works). In questa opera d’arte di Ryts Monet, e in tutto questo articolo, si consiglia al lettore di tenere presente il doppio significato della parola “lavori”. Nella traduzione in italiano, tale licenza poetica si perde nel significato meno ambiguo di “lavori.”
  3. Nella versione inglese, viene usato il termine neutro di genere workers. Noi includiamo il termine inglese qui per rappresentare workers di tutti i generi.
  4. “Lebanon President Says Negligence Or Missile May Have Caused Port Blast,” AFP – Agence France Presse, August 7, 2020.
  5. Lina Mounzer, “Waste Away,” The Baffler, July 7, 2020. Link: link
  6. ibid
  7. Stoler, Ann Laura. 2013. Imperial Debris: On Ruins and Ruination. Duke University Press, 21.
  8. Smithson, Robert. 1967. “A Tour of the Monuments of Passaic, New Jersey.”
  9. Bell, John D. 1986. The Bulgarian Communist Party from Blagoev to Zhivkov. Vol. 320. Hoover Inst, 22.
  10. Fisher, Mark. 2009. Realismo capitalista: non c’è alternativa? Not Editions, 2018, 15
  11. Ibid, 77.
  12. Proletarian Party of America Records, 1925-1968, Labadie Collection, University of Michigan
  13. LeBlanc, Paul. “What Happened to the International Socialist Organization?” n.d. Accessed August 10, 2020. Link
  14. È importante notare che questa serie di eventi sembra endemica nella sinistra statunitense e internazionale – numerose organizzazioni (partiti politici, pubblicazioni, ecc.) sono cadute dopo abusi sessuali e questioni correlate.
  15. Jackson., John Brinkerhoff. 1982. “The Necessity for Ruins, and Other Topics.” Environmental History Review. https://doi.org/10.2307/3984061

Andrea Steves is an artist, curator, researcher, and organizer currently based between New York and Vienna, Austria. Her recent projects deal with museums and public history, monuments and memorials, and the complex legacies of the Cold War. Andrea also works in the collective FICTILIS and is co-founder of the Museum of Capitalism. She is currently a visiting scholar at the Center For Capitalism Studies at The New School.